Dopo la brillante maturità, il padre di Luigi Veronelli, felice del risultato, promise di concedergli qualsiasi regalo.
Veronelli lo spiazzò: né viaggio esotico né automobile né oggetto prezioso; chiese una settimana all’hotel Savoy di Londra, famoso per la cucina di Cesare Balestreri, chef italiano dei più capaci dell’epoca, e per la ricchezza della cantina.
Bisogna immaginarlo, un giovane sicuro di sé, atletico, ricco di carisma naturale, che entra nella sala (del Grill, non ancora riaperto il ristorante) e si siede, solo, al tavolo.
E la prima cena, si sente in cima al mondo, il suo desiderio sta per essere realizzato; lo ha fortemente voluto e in cuor suo vuole che lasci il segno. Al momento della comanda ordina, in un inglese che di fatto non conosce e con già il suo fare un po’ guascone, di portargli il piatto più caro della Casa.
Scompiglio tra il personale, serve l’aiuto del maitre, a cui Veronelli ribadisce la propria richiesta; questi, non meno a disagio, a sua volta ricorre all’aiuto del direttore “per mia fortuna, italiano” – che interviene placido: “II piatto più caro? Si, ribadisco, il più caro.” “Mi dia una ventina di minuti.”
Come rispondere ad un giovane che chiede, con la presunzione di chi si sente privilegiato cliente, un servizio di cui evidentemente non è del tutto in grado di misurare la qualità, affidandosi soltanto al denaro come misura delle cose?
Chi poi lo ha conosciuto fatica a credere che proprio lui possa aver tenuto questo comportamento, ma non deve essere sottovalutata, oltre alla giovane età, la sua voglia di stupire, di fare spettacolo.
Trascorso quel tempo, il commis, seguito da un pari, dal maitre e dal direttore porta, con un cerimoniale dei più pomposi, il piatto coperto da una preziosa cloche e lo appoggia al tavolo. Con i tempi lenti e le lunghe pause necessarie per dare al rito una maggiore solennità, si solleva la cloche e compaiono due “semplici” uova al
burro.
Totale meraviglia: “Solo due uova al burro ?”
“Sì, due uova al burro, non “solo” due uova al burro. Due uova al
burro, ma perfette”, risponde il direttore. “Perfette perché dentro c’è
tutta l’esperienza, la sapienza e la volontà di perfezione del nostro chef, Cesare Balestreri.”
L’intelligenza è anche la capacità di stare al gioco, di riconoscere
la propria sconfitta e i propri errori, di rispettare chi da avversario si
è comportato in modo impeccabile. Una lezione esemplare.
Fu indubbiamente in quel momento che Veronelli si innamorò,
forse senza averne piena coscienza, di quel direttore che avrebbe poi eletto a punto di riferimento di tutta la sua conoscenza cucinaria.
Quel direttore era Luigi Carnacina, e quello fu il loro primo incontro.
Da noi… da noi, una folla di gastronomi auto-elettisi lo ignora. Quanto meno finge di ignorarlo (ogni volta che debbono scrivere o raccontare una ricetta – di cucina, dico – lo copiano, senza ricordare l’obbligo civile e morale, della citazione del reale autore). Giggetto – così lo chiamavano gli amici (pochi nella realtà, una marea, quando stargli vicino serviva ad essere conosciuti) – è stato, e di gran lunga, senza possibilità alcuna di paragone, il gastronomo per eccellenza del XX secolo. Proprio come lo era stato, nel secolo precedente, Auguste Escoffier, con cui Giggetto – nel primo quarto del nostro secolo – ebbe non breve collaborazione e lunghissima amicizia. Ed è di un grande cuoco francese, Paul Bocuse, l’osservazione – si parlava di nouvelle cuisine, in Montecatini, ant’anni fa, alla presenza di Sirio Maccioni e di molti chef-patrons italiani e stranieri – «ma l’inventore della nuova cucina è stato, con le sue semplificazioni rispetto gli scritti del nostro Escoffier, Luigi Carnacina». Un maestro – sì, di Lui si può scriverlo – senza uguali, cui debbo, quanto a cucina, tutto, ma proprio tutto ciò che io so. Ed io so – grazie a Lui – meglio di ogni altro. testo di Luigi Veronelli tratto da : http://www.veronelli.com/
LUIGI CARNACINA
Luigi Carnacina. Fosse nato in Francia, avrebbe – proprio come Auguste Escoffier – monumenti, vie e piazze dedicati.