strasignamoci tutti insieme
Dici Bari, o a volte Puglia (che è una entità variegatissima da tutti i punti di vista e ha davvero poco senso citare assieme) e, parlando di cibo, tutti rispondiamo orecchiette.
Anche se a bari si chiamano strascnat, dal magico movimento di trascinamento che trasforma un rotolino di impasto di semola in un simbolo.
La loro origine è un mistero, infatti non esistono documenti che ne attestino la nascita. Varrone parla delle “lixulae”, un tipo di pasta a forma rotonda con il centro concavo ottenuta con farina, acqua e formaggio. Secondo la tradizione locale, la forma delle orecchiette sembra s’ispiri a quella dei tetti dei trulli, mentre esistono teorie che le fanno risalire alla cultura ebraica.
Altre fonti ne collocano le origini , diffusa tra Puglia e Basilicata, durante la dominazione normanno-sveva nel XII e XIII secolo, : alcuni le attribuiscono alla Provenza francese, dove esisteva un formato a dischetti concavi per facilitare l’essiccazione e la conservazione per i periodi invernali;
In ogni caso la sua fama è giunta intatta fino a oggi, orgoglio della regione. Qui il vanto culinario ha promosso diverse iniziative alla scoperta di luoghi e tradizioni: una di queste è proprio la visita ai vicoli della Bari storica, dove vedere generazioni di donne intente all’antica arte della pasta – tramandata di madre in figlia – come un viaggio nel tempo.
Attorno alla fine del ‘500, negli archivi della chiesa di San Nicola di Bari fu ritrovato un documento con il quale un padre donava il panificio alla figlia. Nell’atto notarile si poteva anche leggere che la cosa più importante lasciata in dote matrimoniale era l’abilità della figlia a preparare le “recchietedde”.
Ancora oggi se la preparazione delle orecchiette avviene a regola d’arte il loro interno sarà liscio, mentre la superficie esterna rugosa, perché trascinata sulla spianatoia. Proprio per riferirsi a questa ultima qualità nacque il termine “strascinati”, sinonimo utilizzato per indicare questo genere di paste.
Sebbene in Puglia siano conosciute come “recchie o recchietelle”, a seconda della loro dimensioni assumono nomi diversi: “chianchiarelle” se di formato piccolo, “pociacche” si di dimensione maggiore. Le orecchiette, condite nei modi più diversi, trovano la loro esaltazione con le cima di rapa.
Le orecchiette no look che manco CR7, i via dell’Arco Basso a Bari Vecchia.
«Noi di Bari vecchia per dar la forma alle orecchiette usiamo il coltello. Nei paesi qui vicino invece fanno prima “l’minuicch” (i cavatelli), che dopo girano con il pollice per dare la forma “a cupola”».
la ricetta
Per questo ricetta si è utilizzato un mix al 50% di semola di grano duro e farina 0, ma si può usare tutta semola oppure farine diverse, come quella di grano arso, mescolate tra loro in proporzioni variabili.
250 g di semola di grano duro (non rimacinata)
250 g difarina 0
200 ml (circa) di acqua appena tiepida
Ingredienti per il condimento
1 kg e ½ – 2 kg (circa) di cime di rapa da pulire
6 – 8 cucchiai di olio extravergine
sale grosso q.b.
ingredienti facoltativi (ma non sostituibili)
1 spicchio di aglio
25 – 30 g di acciughe sott’olio (sgocciolate) o sotto sale
peperoncino q.b.
Porre la semola, mescolata precedentemente alla farina, sulla spianatoia; fare un buco al centro e piano piano aggiungere l’acqua tiepida a circa 40°C.
Impastare a lungo, come minimo per 15 minuti, allungando l’impasto col palmo delle mani, spingendolo con forza, arrotolandolo su sé stesso, ruotandolo di 90° e ricominciando a stenderlo con la sola forza delle mani, fino ad ottenere un impasto liscio, elastico e sodo.
Lasciarlo riposare per una mezz’ora, coperto da un canovaccio appena umido.
Tagliare un pezzo di impasto dalla massa che deve rimanere coperta per evitare che si secchi.
Rotolandolo col palmo delle mani sulla spianatoia, allungarlo fino a farne un cordoncino, quindi tagliarlo a tocchetti regolari.
Se la tipica orecchietta barese, adatta ad essere condita col ragù, è piccolissima (quanto la falange del dito mignolo), per questa ricetta è preferibile che sia di dimensioni maggiori.
Trascinare i pezzetti di impasto sulla spianatoia, aiutandosi con il coltello, fino a farli richiudere su è stessi.
Rigirarli, dando la tipica forma concava alle orecchiette.
La difficilissima tecnica di formatura tipicamente barese prevede di rigirare l’orecchietta con il solo ausilio del coltello. In tutta la Puglia invece, si rigira sul pollice della mano sinistra. I più vi ammoniranno dicendo che state usando la tecnica “d’u disct’n’gul” ovvero del dito in culo.”
Deporre ordinatamente le orecchiette su un vassoio coperto da un canovaccio spolverato di semola, mentre si mette a bollire l’acqua e si puliscono le cime di rapa privandole dei gambi e delle foglie dure. Lavare le cime di rapa in acqua fresca fino a che avranno perso tutti i residui di terriccio, quindi metterle in pentola in acqua salata bollente.
Mentre le cime cuociono, a fiamma vivace scaldare l’olio in una padella larga, con uno spicchio di aglio e una punta di peperoncino fresco, se piace. Subito dopo abbassare la fiamma al minimo e aggiungere le acciughe, lasciandole disfare completamente.
A questo punto controllare che le cime e le foglie di rapa sia tenere (non è sufficiente che l’acqua abbia semplicemente ripreso il bollore), quindi unire nella stessa pentola le orecchiette, rimestando con un cucchiaio di legno. Portare a cottura la pasta; scolare le orecchiette e le cime di rapa con un colino a maglie strette direttamente nella padella con l’olio caldo, dal quale avremo tolto lo spicchio di aglio, e il peperoncino.
Lasciare saltare il tutto per qualche minuto in padella, sempre mescolando; impiattare e servire subito.
Come già detto, su questo piatto non ci va alcun tipo di formaggio, tranne il così detto formaggio dei poveri, composto da mollica ben secca di pane raffermo, sbriciolata e soffritta in olio extravergine. Comunque lo sconsigliamo per non appesantire un piatto che è già equilibrato e completo così com’è.